Le aree extra-urbane, caratterizzate da bassa densità di popolazione, sono tradizionalmente aree caratterizzate da condizioni di “deprivazione”, in termini di accessibilità, risorse, opportunità, tanto da essere state segnate, per decenni, da perdita di popolazione e progressivo invecchiamento dei residenti, con la conseguente riduzione della soglia atta a garantire i servizi necessari, in una sorta di processo circolare e cumulativo. A questo fenomeno di “esodo rurale” si è accompagnato, in molti casi, anche un esodo agricolo, ossia l’abbandono delle tradizionali attività legate all’agricoltura che, se povera, è stata quasi totalmente abbandonata, lasciando spazio all’incolto, se “ricca” è invece spesso divenuta ambito di caporalato, lavoro nero, sfruttamento di migranti temporanei e irregolari.
Per le caratteristiche architettoniche delle abitazioni (anche se spesso lasciate vuote dai proprietari o dai loro eredi) e il basso livello di urbanizzazione, le “aree interne” e gli spazi rurali sono spesso associati ad una elevata qualità ambientale. Ad esempio, la politica delle “aree interne”, lanciata dall’Agenzia per la Coesione Territoriale, per il periodo 2014-2020 le definisce come “aree significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità)”, ma poi aggiunge che sono “ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura e a seguito di secolari processi di antropizzazione”. Per questo, una delle risposte avanzate, a livello strategico, per la loro rivalorizzazione territoriale, prevede per questo incentivi mirati alla ripresa demografia tramite i nuovi residenti (i cosiddetti “neo-rurali) e nel contempo il rilancio turistico, attraverso la valorizzazione dei cosiddetti “borghi”, ossia degli insediamenti tradizionali, spesso sommitali e per questo non interessati da pesanti trasformazioni insediative nel corso degli anni dell’industrializzazione , e dunque caratterizzati dal persistere di un certo pregio paesaggistico (vedi 2017, “Anno dei borghi”, secondo il MIBACT), di percorsi e cammini (2016, “Anno dei Cammini”; 2019, “Anno del turismo lento”). In questa direzione, può essere letto anche l’intervento dell’architetto Stefano Boeri, a proposito della opportunità offerta rappresentata dalla “costellazione di borghi” per il “ripensamento dei cicli di vita degli italiani”, dopo l'emergenza sanitaria del Covid-19, grazie alla diffusione della banda larga e alla crescente abitudine al telelavoro.
Non tutte le aree interne e non tutti gli spazi rurali hanno, però, le stesse potenzialità “paesaggistiche” e non tutti gli insediamenti sono “borghi”. In alcuni casi, il paesaggio risulta sfregiato un passato di industrializzazione che oggi lascia solo “vuoti” imponenti, capannoni coperti di amianto e vecchi stabilimenti abbandonati (come nel caso clamoroso della Bemberg di Gozzano, in provincia di Novara); in altri, vi è la diffusa presenza di edifici di scarsa qualità, caratterizzati di stili edilizi poco consistenti con l’abitato originario (il condominio nel centro del centro rurale, le villette a pioggia, le ristrutturazioni poco consone con tapparelle invece di persiane, oppure persiane in alluminio, etc.); in altri ancora, la bassa densità dell’edificato e la ricchezza di “verde” nascondono invece la potenziale nocività legata all’uso intensivo di pesticidi fortemente inquinanti.
Il working group vuole focalizzarsi sulle trasformazioni in atto in queste aree, il cui unico punto realmente unificante pare essere la domanda “debole” per quanto riguarda i servizi e la conseguente mancanza di opportunità per i cittadini, dapprima attraverso l’analisi mirata dei dati messi a disposizione dalla longitudinale Ita.li, e poi mediante ricerca qualitativa, all’interno di due studi di caso.
Responsabile: Elena dell'Agnese.
Membri: Francesca Allolio, Lorenzo Bagnoli, Nunzia Borrelli, Alessandro Carucci, Giulia De Cunto, Matilde Ferretto, Marco Grasso, Stefania Toso.